Pietro Grasso, detto Piero (Licata, 1º gennaio 1945), è un ex magistrato e politico italiano, dal 16 marzo 2013 Presidente del Senato della Repubblica.


== BiografiaModifica ==
Figlio di Evelina e Gabriele, fratello maggiore di Anna e Marcello, è nato a Licata, in provincia di Agrigento, nel 1945. Si trasferisce a 18 mesi con la famiglia a Palermo. Sposato con Maria dal 1970, ha un figlio, Maurilio, funzionario di Polizia.


=== Gli inizi in magistraturaModifica ===
Sin da ragazzo manifesta la volontà di diventare magistrato. In un'intervista con Fabio Fazio, Grasso ricorda così la decisione di intraprendere questa professione:
Dopo aver completato gli studi classici al Liceo Meli, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza all'Università di Palermo dove si laurea nel giugno del 1966 con una tesi in diritto amministrativo. Nel novembre 1968 inizia il proprio cursus honorum in magistratura, svolgendo per due anni le funzioni di Pretore presso la Pretura mandamentale di Barrafranca (EN). L'assassinio del procuratore della Repubblica Pietro Scaglione, avvenuto nel maggio del 1971, lo induce a fare richiesta di trasferimento al Tribunale di Palermo.
Per dodici anni è Sostituto procuratore della Repubblica. In quel periodo si occupa principalmente di indagini sulla pubblica amministrazione e sulla criminalità organizzata.


=== L'omicidio MattarellaModifica ===
Il 6 gennaio 1980 diviene titolare dell'inchiesta riguardante l'omicidio del Presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella.
Secondo Grasso, Mattarella “stava provando a realizzare un nuovo progetto politico-amministrativo, un'autentica rivoluzione. La sua politica di radicale moralizzazione della vita pubblica, secondo lo slogan che la Sicilia doveva mostrarsi 'con le carte in regola' aveva turbato il sistema degli appalti pubblici con gesti clamorosi, mai attuati nell'isola”
In un discorso tenuto in occasione della presentazione del volume di Giovanni Grasso sulla figura di Mattarella, Grasso ha fatto alcune valutazioni sull'esito delle indagini condotte in passato e ha espresso un suo personale giudizio sulle ragioni dell'assassinio dell'allora Presidente della Regione Siciliana:


=== Il maxiprocessoModifica ===
Nel settembre del 1985, Francesco Romano, presidente del tribunale di Palermo lo designa giudice a latere nel primo maxiprocesso a Cosa Nostra (10 febbraio 1986 - 10 dicembre 1987), con 475 imputati.
Grasso, nella sua autobiografia, ha ricordato così il colloquio con Romano e le sue successive riflessioni prima di prendere parte al maxiprocesso:

"[Francesco Romano] mi ricevette con grande cordialità e cominciò a tessere le mie lodi, dicendo che ero stimato come giovane magistrato brillante, equilibrato e grande lavoratore. Io lo interruppi scherzando: "signor Presidente, mi dica, dove sta la fregatura?" "Abbiamo pensato di affidare a lei l'incarico di giudice a latere del maxiprocesso contro la mafia". (...) L'incarico era prestigioso e la proposta mi inorgogliva. Chiesi però ventiiquattr'ore di tempo per parlare con mia moglie. (...) Ciò che sarebbe seguito non era difficile da immaginare: minacce, pressioni, tentativi di delegittimazione, una vita blindata, la fine della privacy. (...) Dissi a Maria "decidiamo insieme. Ma sappi che, se dovessimo orientarci per un rifiuto, lascerò la magistratura (...) Lei non ebbe esitazioni: "fai quello che devi fare per il tuo lavoro. E quello che verrà, ce lo prenderemo. E così è stato, negli anni, come previsto."

Una volta accettato l'incarico, Grasso iniziò una stretta collaborazione con Giovanni Falcone e Paolo Borsellino i quali gli fornirono un aiuto essenziale per studiare e comprendere le carte processuali.

"Falcone mi portò in una stanza blindata, aprì la porta e mi disse: "ecco, questo è il maxiprocesso". C'era una stanza con quattro pareti fino al tetto con degli scaffali e 120 faldoni. Si trattava di circa quattrocentomila fogli processuali, tutti da studiare. (...) Provai uno sgomento notevole ma non volli darlo a vedere, non volli deludere Giovanni Falcone che mi osservava, voleva vedere la mia reazione. Gli dissi: "dove è il primo volume?" e lui si aprì in un grande sorriso."

"Mentre mi trovavo lì a studiare le carte passò Paolo Borsellino. Mi vide così in difficoltà a raccapezzarmi tra tutte quelle carte, tra tutti quegli episodi e mi fornì le sue famose rubriche, quelle dove con una calligrafia minuta aveva annotato tutti gli omicidi, tutti i delitti e tutte le corrispondenze delle pagine dove si trovavano le dichiarazioni e le accuse per quel tipo di reato. Fu un aiuto eccezionale perché mi fece guadagnare tanto tempo per studiare quelle carte. Mi sentii quasi coccolato come se avessi un fratello maggiore che mi aiutava".

Il 10 febbraio 1986, in un'aula bunker gremita di circa 300 imputati, 200 avvocati difensori e 600 giornalisti da tutto il mondo, si aprì il processo. Tra gli imputati presenti vi erano Luciano Leggio, Pippo Calò, Michele Greco, Leoluca Bagarella, Salvatore Montalto e moltissimi altri; tra i contumaci figuravano Salvatore Riina e Bernardo Provenzano. Le accuse ascritte agli imputati includevano, tra gli altri, 120 omicidi, traffico di droga, rapine, estorsione, e, ovviamente, il delitto di "associazione mafiosa" in vigore da pochi anni. Dal momento che i termini di custodia cautelare per un centinaio di imputati scadevano l'8 novembre 1987 (poi prorogati di poche settimane), era necessario che il processo di primo grado si concludesse entro quella data. Per questo motivo il presidente Giordano, nonostante le proteste di alcuni avvocati difensori e giudici popolari, dispose che il processo si sarebbe celebrato tutti i giorni, ad eccezione soltanto delle domeniche e di alcuni sabati. L'11 novembre 1987, dopo 349 udienze, 1314 interrogatori e 635 arringhe difensive, gli otto membri della Corte d'assise si ritirarono in camera di consiglio, accompagnati da un inatteso applauso da parte degli imputati (il cui numero, nel corso del processo, era leggermente diminuito fino a 460). Fu la più lunga camera di consiglio che la storia giudiziaria ricordi: 35 giorni, durante i quali la Corte visse totalmente isolata dal mondo, lavorando a tempo pieno sul maxiprocesso. Finito il dibattimento, Grasso è stato delegato dal Presidente della Corte d'Assise alla stesura della sentenza, che, dopo un impegno di oltre otto mesi, si è concretizzata in un documento di circa 7.000 pagine, raccolte in 37 volumi. Tale sentenza, con la quale sono stati inflitti 19 ergastoli e 2.665 anni di reclusione, è stata positivamente valutata anche dalla pronuncia finale della Corte di Cassazione, che ne ha confermato in via definitiva i punti essenziali. Per la prima volta veniva dimostrata l'esistenza della Cupola attraverso la via giudiziaria:

"Ma questa sentenza ha posto finalmente un punto. Il «papa», nel caso Michele Greco, il «senatore» nel caso di Salvatore Greco, le «belve», nel caso di Bernardo Provenzano e Salvatore Riina, il «super killer», nel caso di Pino Greco, il «cassiere, della mafia nel caso di Pippo Calò, «il terrorista», nel caso di Rosario Riccobono, il «sanguinario», nel caso di Filippo Marchese, per ricordare solo nomi più sinistri, non rappresentano più gli ingiuriosi soprannomi scelti da pentiti o giornalisti persecutori, ma, in buona sostanza, il tratto distintivo vero dei protagonisti di una vicenda orrendamente «granguignolesca» costata troppi lutti. Viene, cioè, sciolto il grande interrogativo della vigilia: funzionerà l'intelaiatura del «teorema Buscetta»? Sarà cioè riconosciuto valido il criterio che chiamava in causa l'intera super commissione per singoli delitti? La risposta è sì."

Conclusosi il maxiprocesso, nel febbraio del 1989 Grasso viene nominato consulente della Commissione parlamentare Antimafia, presieduta da Gerardo Chiaromonte prima e da Luciano Violante poi. Nel 1991 viene nominato consigliere alla Direzione affari penali del Ministero di grazia e giustizia, il cui "guardasigilli" era Claudio Martelli, che chiamò anche Giovanni Falcone, e componente della Commissione centrale per i pentiti.
Successivamente viene sostituto nell'incarico, per poi essere nominato procuratore aggiunto presso la Direzione nazionale antimafia (guidata da Pier Luigi Vigna), applicato nelle Procure di Palermo e Firenze dove ha seguito e coordinato le inchieste sulle stragi del 1992 e del 1993.


=== Il fallito attentatoModifica ===
Il 30 gennaio 1992 la Corte di Cassazione confermò la sentenza del Maxiprocesso che condannava Riina e molti altri boss all'ergastolo: in seguito a tale sentenza, nel febbraio-marzo 1992 si tennero riunioni ristrette della "Commissione provinciale" (a cui parteciparono Riina, Salvatore Biondino, Raffaele Ganci, Giovanni Brusca, Michelangelo La Barbera, Salvatore Cancemi), in cui venne deciso di dare inizio agli attentati e vennero stabiliti nuovi obiettivi da colpire.
Il pentito Giovanni Brusca, nel corso di una deposizione nell'ambito del processo "Bagarella ed altri" (presunta trattativa Stato - mafia) ha così descritto gli intendimenti del boss Totò Riina:

"Nel corso di una riunione, nel '91, Totò Riina disse che dovevano morire tutti, che si voleva vendicare, che i politicanti lo stavano tradendo. Fece i nomi di Falcone, che era un suo chiodo fisso, di Borsellino, di Lima, di Mannino, di Martelli, di Purpura. Disse 'gli dobbiamo rompere le corna'. Tutti ascoltavano in silenzio. Per amore o per timore".

Poche settimane dopo la Mafia compì la strage di Capaci, nel quale morirono Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e tre agenti di scorta e quella di Via D'Amelio nella quale rimasero vittime il giudice Paolo Borsellino e cinque agenti di scorta. Tra gli obiettivi che erano stati identificati dalla Cupola c'era anche Pietro Grasso. È stato lo stesso Brusca a spiegare al Pm Roberto Tartaglia come nacque l'idea di uccidere l'ex giudice a latere del maxiprocesso e quali risultati si sperava di ottenere:

"[Tartaglia a Giovanni Brusca]: Dopo la strage di Via D'amelio, dopo il 19 luglio, e prima dell'arresto di Salvatore Riina fu mai prospettata da Salvatore Riina la necessità di realizzare altri episodi di violenza che servissero in qualche misura ad agevolare l'evoluzione di quella che lei ha definito trattativa o interlocuzione? [...] [Risposta di Giovanni Brusca]: Totò Riina mi dice: «ci vuole un colpetto per fare tornare questi a dialogare... siamo a ottobre-novembre. Io gli avevo illustrato la possibilità di colpire il Dottor Grasso in quanto conoscevo l'abitudine che frequentava la suocera che abitava a Monreale»."

Il pentito Gioacchino La Barbera, nel corso di una sua deposizione, ha spiegato come sarebbe dovuto avvenire l'attentato:

"C'era già l'esplosivo e il telecomando. Grasso doveva venire a Monreale, e lì doveva avvenire l'attentato. Facemmo un sopralluogo, ma poi non se ne fece più nulla, ma ci fu un problema tecnico. Rischiavamo che scoppiasse prima del passaggio e non se ne fece più nulla."

Lo stesso Grasso ha più volte raccontato le circostanze nelle quali venne a conoscenza del progetto di attentato:

"Per una strana coincidenza della vita sono stato io il primo ad avere dal pentito Gioacchino La Barbera la descrizione dell'attentato che era stato preparato verso di me. [...] Aveva iniziato a collaborare, parlando anche della strage di Capaci e arrivato ad un certo punto aveva detto che stava organizzando l'attentato ad un magistrato di cui non ricordava il nome. [...] Fui chiamato, allora ero alla Procura Nazionale Antimafia come sostituto, per cercare attraverso le mie conoscenze di tirar fuori dalla memoria del pentito il nome del magistrato sottoposto a questo progetto di attentato. Appena mi presentano [a La Barbera] questo si da una manata sulla testa... «è lui! È lui!>» a questo punto scatta qualcosa di kafkiano perché lui avendo davanti la vittima ed essendo il carnefice, non voleva più parlare. Io dal mio punto di vista volevo sapere tutti i particolari [...] e finalmente si è convinto a descrivermi quello che aveva preparato nei miei confronti. [...] Alla fine mi aveva salvato una banca [...] perché aveva un controllo elettronico di sicurezza che poteva influenzare il telecomando e questo fece sì che fosse rimandata l'esecuzione dell'attentato per trovare dei telecomandi che non consentissero interferenze. Frattanto il gruppo operativo fu arrestato e fu arrestato anche Totò Riina. Mia suocera, che andavo a trovare frequentemente è deceduta per cui sono venute a mancare tutte le condizioni. E così la posso raccontare."


=== Procuratore di PalermoModifica ===
Dall'agosto del 1999 ricoprì l'incarico di Procuratore della Repubblica di Palermo, immediatamente dopo la conclusione del primo grado del processo Andreotti. Sotto la direzione di Grasso, dal 2000 al 2004, furono arrestate 1.779 persone per reati di mafia e 13 latitanti inseriti tra i 30 più pericolosi. Nello stesso arco di tempo la procura del capoluogo siciliano ottenne 380 ergastoli e centinaia di condanne per migliaia di anni di carcere.


=== Capo della Direzione nazionale antimafiaModifica ===

L'11 ottobre 2005 è stato nominato procuratore nazionale antimafia, subentrando a Pier Luigi Vigna, che ha lasciato l'incarico nell'agosto 2005 per raggiunti limiti di età, mentre era ancora capo della Procura della Repubblica di Palermo. Il Csm (Consiglio superiore della magistratura) ha dato via libera alla sua nomina con 18 voti a favore e cinque astensioni.
La sua nomina fu al centro di aspre polemiche nel mondo giudiziario e politico, poiché era molto probabile la nomina del Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo Gian Carlo Caselli. Tuttavia, il senatore di Alleanza Nazionale Luigi Bobbio presentò un emendamento alla legge delega di riforma dell'ordinamento giudiziario (la cosiddetta "Riforma Castelli") per effetto del quale Caselli non poté più essere nominato procuratore nazionale antimafia per superamento del limite di età. La Corte costituzionale, successivamente alla nomina di Pietro Grasso quale nuovo procuratore nazionale antimafia, dichiarò incostituzionale la norma.
L'11 aprile 2006 contribuisce con il suo lavoro, dopo anni d'indagine, alla cattura di Bernardo Provenzano nella masseria di Montagna dei cavalli a Corleone, latitante dal 9 maggio 1963.
Il 18 settembre 2006 la direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, con il contributo della Procura Nazionale diretta dal procuratore nazionale Grasso, conclude un'indagine durata due anni riguardante l'azione di alcune cosche mafiose di Vibo Valentia, che avevano messo le mani sui villaggi turistici della costa. Le cosche in questione sono La Rosa di Tropea e quella dei Mancuso di Limbadi, che ricavavano ingenti guadagni dal controllo degli appalti per la costruzione e la fornitura dei villaggi vacanze nella zona di Catanzaro. L'operazione Odissea si conclude con 41 procedimenti di custodia cautelare.
Alla scadenza naturale del primo mandato alla DNA è stato riconfermato dal Consiglio Superiore della Magistratura per un secondo mandato, stavolta senza alcuna polemica ed all'unanimità.
A partire dal settembre 2012 per Rai Storia in 12 puntate Pietro Grasso conduce Lezioni di Mafia: un progetto di educazione alla legalità, dedicato alle generazioni più giovani per spiegare tutti i segreti di Cosa Nostra. Il programma si ispira alle lezioni di mafia ideate nel 1992 dal direttore del TG2 Alberto La Volpe assieme a Giovanni Falcone, una delle ultime iniziative del magistrato palermitano stroncata dall'attentato di Capaci. A vent'anni di distanza, sollecitato in riguardo, Grasso ha accettato di tornare a raccontare ai giovani il fenomeno mafioso. Lezioni di Mafia scava dentro il sistema mafioso e ne restituisce una radiografia fatta di nomi, regole, storie, rete di complicità, intrecci, misteri, ambiguità. Nella prima puntata ha spiegato com'è formata la Cupola mafiosa.


=== Senatore della RepubblicaModifica ===
Il 27 dicembre 2012 presenta al CSM la richiesta di aspettativa per motivi elettorali: il giorno successivo dichiara alla stampa che intende candidarsi nelle liste del Partito Democratico in vista delle Elezioni politiche italiane del 2013, e contestualmente si dimette dalla magistratura. L'8 gennaio 2013 la direzione nazionale del PD candida Pietro Grasso al Senato della Repubblica Italiana come capolista della lista PD nella regione Lazio, dove risulta poi eletto.
A marzo, in seguito alle elezioni, insieme a molti altri colleghi del Parlamento, aderisce al progetto "Riparte il futuro" firmando la petizione che ha lo scopo di revisionare la legge anti-corruzione modificando la norma sullo scambio elettorale politico-mafioso (416 ter) entro i primi cento giorni di attività parlamentare. Il primo giorno di insediamento nelle aule di Palazzo Madama presenta questo disegno di legge, attualmente all'esame della Camera, dopo essere stato approvato dal Senato nell'aprile 2015.


=== Presidente del SenatoModifica ===

Il 16 marzo 2013 viene eletto al ballottaggio presidente del Senato con 137 voti, contro i 117 per Renato Schifani (PdL).
Dal 14 gennaio 2015, con le dimissioni di Giorgio Napolitano, assume il ruolo di presidente supplente della Repubblica Italiana, ruolo che ricopre fino al successivo 3 febbraio, giorno del giuramento del nuovo presidente della Repubblica Sergio Mattarella.


== PubblicazioniModifica ==
Vista la sua esperienza di magistrato antimafia, scrive diversi testi riguardo l'argomento:
Pietro Grasso, Saverio Lodato, La mafia invisibile. La nuova strategia di Cosa Nostra, Mondadori, 2001, pp. 179, ISBN 88-04-49569-3.
Pietro Grasso, Francesco La Licata, Pizzini, veleni e cicoria. La mafia prima e dopo Provenzano, Feltrinelli, 2008, pp. 174, ISBN 978-88-07-17130-7.
Pietro Grasso, Alberto La Volpe, Per non morire di mafia, Sperling & Kupfer, 2009, pp. 297, ISBN 978-88-6061-768-2.
Pietro Grasso, Enrico Bellavia, Soldi sporchi. Come le mafie riciclano miliardi e inquinano l'economia mondiale, Dalai Editore, 2011, pp. 359, ISBN 978-88-6620-237-0.
Pietro Grasso, Liberi tutti. Lettera a un ragazzo che non vuole morire di mafia, Sperling & Kupfer, 2012, pp. 228, ISBN 978-88-200-5179-2.


== NoteModifica ==


== Voci correlateModifica ==
Direzione nazionale antimafia
Elezione del Presidente del Senato del 2013


== Altri progettiModifica ==

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== Collegamenti esterniModifica ==
Sito ufficiale, pietrograsso.org.
Pietro Grasso: ricordo di Falcone e Borsellino, sul portale RAI Scuola, raiscuola.rai.it.
Video integrale del discorso di insediamento a presidente del Senato il 16 marzo 2013 su Repubblica TV, video.repubblica.it.

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